lunedì 19 luglio 2010


Ieri, spulciando una serie di cd rom senza nome, mi sono imbattuto in una serie di file word provenienti dalla remota memoria di un vecchio computer da tempo diventato un rifiuto tossico smaltito in una discarica abusiva dell Africa Subsahariana.
Tra le tante cose ho trovato un file chiamato " le ultime lettere di Yacopo Ortles" che conteneva il racconto che vado a pubblicare e che mi era stato regalato proprio dal mio amico Yacopo Ortles di cui, prima di lasciarvi al racconto vado a fare una breve biografia

Classe 1977, Yacopo M. Ortles è figlio unico di un avvocatessa e del dio dei venti Eolo.
Deve il suo secondo nome ( Mauser ) alla passione del nonno materno per le armi naziste.
Dopo la tipica infanzia milanese anni ottanta ( ghiaccioli, gettoni del telefono, partite di calcio ai giardinetti sotto casa con la tuta con le toppe sulle ginocchia) frequenta con pessimo risultati i licei classici Berchet, Manzoni, Brecht e Luigi Pulci. Anarchico della prima ora studia da autodidatta le opere di bakunin, trozzki e compagni bella.

La comune passione per le droghe leggere e semi leggere lo avvicina alla fine anni 90 al gruppo da me fondato " Atro - City" dove tra alterne vicende provammo a fare dell'arte scevra dalle influenze del mondo esterno e del imperante cultura del calcio in culo.
Per riassumere, cercavamo di non scrivere frasi del tipo " le persone egocentrate vengono shiftate automativamente verso ambiti dove, grazie alla loro proattività, per quanto influenzata da circostanze esogene...poteva avere....bla bla bla"...e chi più ne ha più ne metta.
Indagato più volte per associazione sovversiva e manifestazione sediziosa una sera dopo un acceso diverbio con il sottoscritto riguardo al ruolo di Higgins nel telefilm Magnum P.I., si allontana dalla saletta del circolo Arci bellezza dove stavamo bevendo una birra calda dicendo che andava compare le sigarette. Da allora non si fatto più sentire.
Questo racconto scritto ad occhio e croce nel 2003 fa parte della più ampia raccolta inedita e definitivamente smarrita "Milano Odd school"
Industrie cervello vi augura buona lettura di questo racconto agrodolce che, a noi, ci ha fatto ampiamente sghignazzare

"ESAME DI COSCIENZA "DI Yacopo M. Ortles

Sono ore che sto a letto e non dormo. Sono giorni che ho la tosse, e sono giorni che la trascuro e che continuo a fumare (ma un po’ meno del solito). La tosse, quando inizia, è pastosa, ricca di catarri: alla fine è secca e squassa i polmoni. Qualcosa, da qualche parte nella gola, mi ricorda che devo continuare a tossire convulsamente. La posizione orizzontale peggiora la situazione, ma io voglio provare a dormire.

Inizia un attacco peggiore del solito: raglio come un asino e faccio fischi di trachea.

E ad un certo punto sputo la mia Coscienza. Mi succede, come, penso, a tutti voi, dacchè ho l’età della ragione e del discernimento. L’unico periodo in cui non mi capitava era quando pigliavo eroina. Questo perchè, come ognuno sa, gli oppiacei sono ottimi sedativi della tosse. Niente tosse, niente Coscienza. Mio nonno si faceva di sciroppo alla codeina, ed io rimpiango i buoni tempi antichi in cui era in libera vendita.

La mia Coscienza con gli anni ha cambiato d’aspetto: una volta era un donnino di trenta centimetri. Era tozza e muscolosa, aveva i capelli rossi e le lentiggini, la faccia larga e le tette avvizzite. Dava un’idea di vigore. Adesso pare uno stronzo di mare. Gli stronzi di mare sarebbero le oloturie, che sono echinodermi, come i ricci e le stelle marine. Ma il nome popolare rende meglio l’idea. Sarà lungo una ventina di centimetri, marrone, coriaceo e molle al tempo stesso, con tanti minuscoli pedicelli. A differenza dello stronzo di mare, la parte anteriore sta eretta su quella posteriore, in più ha occhietti neri, tutti pupille, e una boccuccia sorridente con dei canini che sporgono agli angoli.

La Coscienza, venendo dai polmoni o giù di lì, inevitabilmente puzza: puzza di nicotina rancida, di cibi mal digeriti, di placche in gola.

Tento di addormentarmi, ma quella mi morde due volte la guancia sinistra. Apro gli occhi e la vedo masticare piccoli brandelli di carne. La stronza ti impedisce di dormire. Sorride.

“Perchè cambi d’aspetto?”

“Libertà di Coscienza: non sono cazzi tuoi.”

“Perchè vieni con la tosse, nelle notti insonni?”

“Obiezione di Coscienza: tu non devi fare domande. E’ la Coscienza a fare gli esami.”

Alla mia Coscienza sembrano piacere i giochi di parole, e ha un pessimo senso dell’umorismo. Quando parla, si contorce tutta. La sua voce è stridula.

“Iniziamo subito!”

Sono rassegnato.

“Quattro per quattro? Cosa pensi dei film di Nanni Moretti? Ami la tua fidanzata? E’ più difficile a digerirsi la peperonata o i crauti col carrè di maiale? Se fossi costretto, chi uccideresti tra tuo padre, tua madre e tuo fratello? Perchè la gatta che va al lardo ci lascia lo zampino? Come mai i giovani ricchi fanno i poveri e i giovani occidentali fanno i terzomondisti? Posa, altruismo o senso di colpa? Su chi o cosa cagheresti per ambizione? Perchè non piangi ai funerali? Ti piacciono le poppe di caucciù di Barbara D’Urso? Chi ti sbatteresti volentieri? Galline oggi o uova domani? Ti rendi conto che non fai un cazzo da mattina a sera? Il piacere è pericoloso? Il pericolo è piacevole? La formula del cloruro di potassio? Come sarai tra dieci anni? Quante menzogne dici al giorno, in media? [...]

Vi risparmio il resto. La Coscienza fa domande, ma non le interessa se conosco o meno le risposte, e neppure se sto mentendo a me stesso. In realtà non aspetta neppure che articoli risposte, né verbali, né mentali. Non le interessa seguire un filo logico. Ad ogni domanda, la Coscienza puzza sempre di più, le crescono ventose, spine, opercoli e brufoli, trascolora in una tonalità via via più indefinita e melmosa, unge le lenzuola con un liquido vischioso.

“E’ sporchetta, la tua Coscienza, eh?”

Avrete notato che parla sempre di sé in terza persona.

“Adesso devi lavare la Coscienza.”

“Come?”

“Succhiandomi, ovviamente.”

“Mi fa schifo.”

“Senti, bello: non sei proprio nella posizione per stare a questionare. Tu devi agire secondo Coscienza, e quindi vedi di fare ciò che la Coscienza t’impone”

Impugno la stronza maleododorante, ed inizio ad infilarmela in bocca dalla testa, cioè dalla zona dove c’ha occhietti e boccuccia. Spero la smetta di parlare, ma non c’è niente da fare.

“Ti piace, eh? Finocchio represso! Pompinaro! Succhia, succhia. Bocchini! Chinotti! Sufloni! [...]

Avrete capito che non è una Coscienza di classe.

Mi vibra tutta in bocca. Coi peduncoli e le ventose si spinge sempre più in fondo nella gola. Tremo anch’io, per i conati di vomito. E alla fine sbocco bile e, con la bile, pure, la Coscienza.

“Bravo! La tua Coscienza è pulita, adesso”

Sembra più piccola, ha cambiato colore in un grigio opaco, e ora puzza di acido, di succhi gastrici. Non la definirei pulita, ma se va bene a lei, io sono a posto.

Appoggio la testa sul cuscino. Voglio dormire. Domani mattina la Coscienza sarà tornata da dove è venuta, e preferisco non sapere come ci torni .

L’ultimo mio pensiero va a mia nonna, che è morta recentemente. Devo ricordarmi di andarle a svuotare l’armadietto dei medicinali di tutti i sonniferi e gli antidepressivi, prima che qualcuno decida di fargli fare un volo.

giovedì 15 luglio 2010


LA DONNA CHE TRASFORMAVA GLI UOMINI IN GATTI

Credo di avere cominciato a capire quando il pomello della porta si è fatto sempre più distante e le parole di radio popolare hanno smesso di avere senso.

Erano due anni che stavamo insieme, ma ormai era troppo tardi.

Quando ero venuto a vivere con Lei c’era quel gatto nero vecchio e malandato e facevamo l’amore tutte le sere.

Facemmo sesso anche quel fine settimana in cui il Nero tirava gli ultimi affianco al termosifone.

Si era pisciato addosso ma ci guardava con grande dignità, schifato dal mondo, senza paura.

Deve essere cominciato quel giorno perché Lei dopo aver pianto calde lacrime sul corpo della bestiola mi aveva guardato in maniera diversa e io mi ero accoccolato ai Suoi piedi cercando per consolarla.

In quel anno, ci penso solo ora, le cose cambiarono.

Uscivo sempre meno e mai senza di Lei…brevi passeggiate.

Avevo smesso di cucinare e mangiavo solo quello che Lei mi metteva nel piatto.

La notte mi accucciavo sui Suoi piedi e dal cuore mi usciva un grugnito di piacere.

Passavo le giornate accoccolato sul divano aspettando il Suo ritorno, il calore del Suo corpo.

Tardavo a capire, fu solo quando il pomello della porta divenne così lontano che misi a fuoco la realtà.

Corsi allo specchio e per un breve istante vidi la mia immagine: uno splendido soriano grigio tigrato giovane e bello.

Fu solo un attimo di coscienza poi mi scagliai contro quello sconosciuto e sbattei… il figlio di una gatta stava dietro un vetro e mi guardava.

Ormai evito di dargli retta, è un provocatore, non guardo negli specchi e risolvo il problema…e La aspetto.

…ed ecco che il pomello gira e Lei entra bella e profumata, riempie la mia ciotola e mentre io mangio si siede sul divano e accende la tv.

So che sta guardando “un posto al sole” lo guardava sempre, e io guardo lei che mi dice “vieni qui tonto” e così mi accoccolo e un grugnito di felicità mi esce dal cuore mentre mi accarezza la collottola: anch’io ho il mio posto al sole.

E’ inverno e abbiamo freddo e ci scaldiamo l’un l’altro, lei mi tira le vibrisse e mi carezza dolcemente e io, che non so quasi niente, so che siamo felici.

“ti amo” le dico ma dalla mia gola dal mio stomaco esce solo uno struggente felice Meowfrr…

PIERCE & LOVE.
tecnica mouse su schermo, colori: paint
alle 23.59 e 59 secondi del 21.12.2012 il mondo degli uomini stava andando avanti come sempre poi, un secondo dopo, il verme era partito.
E come il verme del famoso videogioco aveva cominciato a mangiare tutti i numeri in tutti i sistemi informatici ed elettronici del pianeta e insomma, che ve lo sto a dire il mattino dopo il mondo era nel caos.
le lancette della bussola segnavano il sud, ai maschi vennero le mestruazioni e tutto quanto si era fermato.
Io c'ero quel giorno, a Milano.
Su tutta la città soffiava un vento gelato e sembrava quasi di poter toccare le lontane montagne con un dito.
Alle sei di mattina era cominciato l'ingorgo. Le radio erano silenziose, gli orologi fermi eccettuato quelli a carica manuale. Alle sette ci fu il primo suicida un tizio in giacca e cravatta che aveva un importante appuntamento. Era bloccato in viale Bazzi da circa due ore e mezza e non si era mosso di un metro, non aveva ancora spento il motore nella speranza che l'ingorgo ripartisse, digitava furiosamente sul proprio palmare ma qualsiasi cifra schiacciasse lo strumento scriveva sempre e solo "0"...quando la batteria si era scaricata e aveva visto le prime persone tornare verso la periferia a piedi dopo avere abbandonato la propria auto si era tolto le scarpe, aveva ripiegato la giacca e con la cravatta si era costruito un cappio lo aveva legato alla maniglia di sostegno e si era lasciato andare, per morire aveva dovuto fare un grande sforzo di volontà, aveva tenuto le gambe strette al petto per non toccare terra fino a quando non si era rotto la trachea...
Io c'ero, ero al balcone e dopo un po' avevo tirato giù le tapparelle ed ero tornato a dormire, quel giorno niente lavoro, per fortuna.

domenica 11 luglio 2010


in attesa del secondo capitolo dell'avventura 2 il nonno di tony miami ecco uno dei due racconti pubblicati sull'antologia milano noir e giald a cura di cox 18 per agenzia x

Giulio Lugno

Una storia erotica di Tony Miami

Milano sembrava un maledetto forno rovente, una minestra riscaldata senza sale, una sauna edipica,

era il 21 giugno e la gatta non si muoveva dal suo scranno se non per sbocconcellare svogliata un po’ di cibo.

Stavo seduto sulla mia poltrona con il ventilatore puntato sui coglioni una birra ghiacciata e un paio di libri gialli in mano su cui non riuscivo a decidermi:

“Chaindler o Simenon?... Ketchup o Cat sup?”

La cassaforte dei Playmobil sotto la piastrella rotta conteneva un paio di banconote da cinquanta; la radio trasmetteva indolente musica italiana, non avevo nulla da fare e così tanto tempo.

Fu a quel punto che entrò senza suonare il campanello: era una bellissima donna avvolta in un vestitino su misura di quel color rosa confetto succhiato che andava tanto sulle riviste femminili di quel anno, neanche una sbavatura nonostante i trenta gradi centigradi.

“Tony” aveva esclamato “ Tony Mi- ami”

“ Maiemi “ l’avevo corretta un po’ imbarazzato

“ seee, come no “ la voce mi era vagamente famigliare ma ero sicuro di non averla mai vista, la esaminai dai piedi a salire:

Aveva stivali neri di cuoio coi tacchi alti e cosce mozzafiato, fianchi larghi e ben proporzionati che lasciavano presagire un culo da favola, la pancia era piatta come una tavola da surf e poi c’era quel seno che…

“Oh cazzo…”

quelle due sfere perfette erano quelle di Mara Tamarra, la mia compagna del liceo, ma lei non era più lei, anche il volto aveva qualcosa di diverso. Quasi tutto, direi.

La timida liceale col naso adunco e il culo largo ma nelle cui splendide tette avevo affondato la faccia ai bei tempi era diventata una gran bella figliola

“Mara, Mara…” dissi “… non mi ricordo più il cognome”

“Gagliano, ma adesso sono la signora Lugno”

“ Cristo, ma cosa ti è successo?”

“ hai visto? come mi trovi?” aveva detto roteando come una diva

sei splendida” dissi convinto: non so se era per l’afa ma sudavo copiosamente.

“sono venuta per offrirti un lavoro, cercavo un investigatore sulla guida, ho visto il tuo soprannome e mi sono chiesta, sarà lui?”

“e così eccoti qui” avevo risposto scettico: dalle nebbie dei tempi del liceo cominciavano a riaffiorarmi alla mente altri ricordini riguardo a Mara Tamarra, meno piacevoli delle sue tette.

La gatta le si era avvicinata e lei schifata aveva detto “mandala via, sono allergica ai gatti”

“Sii - uxie, fuori dalle palle”

la micetta aveva alzato il suo musino bianco mi aveva scrutato con occhi pieni di gelosia ed era ritornata sul suo scranno girandosi dall’altra parte.

Insomma, il caso era questo: Mara aveva fatto successo nel mondo dello spettacolo: telepromozioni, televendite, comparsate in TV, filettini; poi il suo manager, Giulio Lugno, uno immanicato con le case di produzione, si era innamorato di lei e le aveva chiesto di sposarla.

Lei aveva ovviamente accettato e da quel giorno lui non aveva mai smesso di pagarle operazioni di chirurgia plastica: liposuzione , rinoplastica, blefaroplastica, lifting facciale, stiramento rughe, assestamento dei fianchi ritocco all’ombelico, ecc. ecc. ecc.

Di originale era rimasto solo il seno e un motivo c’era, io ve lo posso dire: aveva le più belle tette del Liceo Scientifico Statale Salvador Allende.

Il problema era che suo marito, che lei aveva lasciato da oltre sei mesi, secondo lei la tradiva,

“come potrai ben capire non è perché sono innamorata, tu sai che non sono il tipo”

lo sapevo benissimo, Mara era la classica ragazza cresciuta davanti ai programmi TV, l’amore per lei era quello delle trasmissioni di Maria de Farloppis: una farsa.

Era solo che Giulio Lugno, quando l’aveva sposata, le aveva fatto firmare un contratto matrimoniale, “ hai presente quella roba, tipo americana che in caso di divorzio non si beccano gli alimenti senza le prove di un tradimento?”

“ più o meno”

“stamattina, comunque, ho scoperto che Giulio aveva prenotato una stanza al GuglielMotel per le cinque di oggi e quindi ho pensato che potevo incastralo, sai? l’idea di andare a vivere senza soldi è per me inaccettabile, quindi se mi porti delle foto , come dire, compromettenti, ti pagherò profumatamente”

“ la mia tariffa e quindici euro l’ora più le spese”

“sai che non c’è problema”

non ne ero così sicuro, comunque, ci congedammo.

La osservai camminare scodinzolando per la via facendo lo slalom tra le merde di cane, e pensai, viva la chirurgia plastica.

A questo punto avevo circa tre ore di tempo per svolgere il mio sporco lavoro.

Presi la lancia Valona e, percorrendo la tangenziale west, arrivai a Settimo Milanese: il GuglielMotel era li, mostruosa architettura Assiro Milanese indicata da un enorme cartellone con tanto di mela e freccia.

A quanto pareva si trattava di uno di quei motel di pseudo lusso con stanze a tema, rifugio per coppiette clandestine con ambizioni da novella 2000.

Tra la reception e il pretenzioso Bar “lounge” abbordai una cameriera di mezza età con una bocca stolta e gli occhi vivaci come quelli di una mucca al pascolo.

Mostrai il mio tesserino ( semi - falso) e le rifilai una storia di corna tra cugini, madri straziate, matrimoni rovinati, per dare credibilità alla mia storia tirai fuori addirittura delle foto di mia madre che tenevo nel portafoglio e che sortirono un certo effetto ma, alla fine, furono i miei ultimi 50 euro a convincerla ad introdurmi nella stanza che il signor Lugno aveva prenotato: la stanza della Rivoluzione Francese.

“ Scusi se sono indiscreto ma si tratta di deformazione professionale, le altre stanze a cosa sono ispirate?”

avevo chiesto sorridendo esteriormente e ghignando internamente

“ ma lei signore non mi sembra affatto deforme”

“ …è che…lasci perdere” la donna mi guardava con aria adorante

“ Beh… abbiamo la stanza dei Pirati dei Caraibi e la stanza del Maraaja, la stanza degli specchi e quelle della rivoluzione francese e russa, e poi naturalmente la suite…”

fece un pausa per la suspence,

su, provi a indovinare” mi chiese mentre i suoi occhi da mucca si tramutavano in quelli di un ermellino allevato in cattività, “ pensi che l’ha progettata personalmente il proprietario …”

“Mah…” feci dubbioso sbirciando una sul bancone “ forse a Guglielmo Tell?”

la geniale faina di passo rimase a bocca aperta

“ come ha fatto a indovinare? Si vede proprio che lei è un investigatore … pensi, ci sono anche arco e freccia anche se abbiamo dovuto mettergli la punta di plastica dopo quel disgraziato incidente di due anni fa …“

“Ah si? “ tagliai corto senza inoltrarmi troppo nei dettagli di quell’oscura vicenda, il tempo stringeva.

Salii per le scale di servizio nella camera che il “vecchio porco” aveva prenotato.

Prima di appiattarmi nell’armadio diedi un occhiata in giro: i proprietari avevano fatto le cose in grande, alla parete il famoso quadro di Robespierre che si taglia le vene nella vasca da bagno, specchi e armadi in finto stile luigi qualche numero e, nell’angolo, il non plus ultra: una vera ghigliottina.

Toccai con un dito la lama di plastica e cercai di non pensare all’incidente che aveva spinto il proprietario alla sostituzione della lama.

Preparai la trappola: con esposimetro e cavalletto posizionai la macchina senza flash e senza suoni di scatto, mi fumai una sigaretta sul davanzale e mi infilai nell’armadio osservando il letto dallo spiraglio che avevo lasciato aperto.

Alle cinque e dieci Giulio Lugno entrò con una ragazzina di non più di vent’anni. Il “vecchio porco” non era affatto vecchio, avrà avuto più o meno quarant’anni e sarebbe potuto essere un bell’uomo se gli si fosse sostituita quella bocca contorta e il naso fremente da cocainomane oltre naturalmente ai capelli tinti e pettinati come Sgarbi.

I due stavano contrattando sul prezzo, la ragazza masticava un chewing gum:

“voglio poterti chiamare Mara”

“sono venti euro in più” sbiascicò lei

Lui estrasse un portafoglio di pelle le allungò duecentoventi euro poi cominciò a farle una strana pedicure con un tagliaunghie a forma di ghigliottina, “pensa Mara” diceva

“ questo l’ho fatto fare apposta per te, sai?...il padrone del motel è un mio amico”

“a see?” rispose lei mentre sfogliava Mens Health affatto interessata.

Quando le cose presero un piega un po’ più seria cominciai a scattare.

Prima di arrivare alla copula lui volle che lei gli facesse lo stesso servizietto di pedicure

“ aho’ ma che, sei scemo? Che schifo”

Mr Lugno estrasse un portagioie e stese due spranghe di coccoina

“vedi se questa ti aiuta ad aver meno schifo”

“ mah ti dirò…” rispose lei, ma snasò tutto come un aspirapolvere; le vidi gli occhi cambiare da così a cosà adesso avrebbe potuto cucinare rognone di cristiano , volendo.

La ragazza aveva parecchie difficoltà con lo strumento da taglio ma tanto dopo pochi minuti lui le saltò addosso tirandosi i calzoni nelle caviglie

“ oh mara, mara…marahhhhh”

Fu roba breve e lui pretese che lei gli schiaffeggiasse per un po’ il sedere per punizione con un frustino che aveva estratto dalla valigetta.

Dopo mezzora stavano uscendo. La cosa che mi lasciò un po’ perplesso, dopo tutto, fu il fatto che al momento di richiudere la porta la ragazzina che non aveva mai smesso di masticare il suo chewingum aveva guardato verso l’armadio e aveva fatto l’occhiolino.

Tornai in ufficio con strani pensieri,

L’amara Mara Tamarra, la sig.ra Lugno, lo aveva conciato proprio bene quel tale, le telefonai per darle appuntamento e mi mangiai una scatoletta di tonno.

Lei arrivò attorno alla mezzanotte, entrò senza suonare con un vassoio di sushi e una bottiglia di vino bianco in mano, “ dobbiamo festeggiare”

Io mi ero appisolato, ero sudato, sporco; fuori una luna enorme faceva l’occhiolino ai navigli e, strano a dirsi, non c’era troppa gente in giro: troppo caldo.

La guardai tra i fumi del sonno: vestiva un tubino attillato che le scopriva l’ombelico al cui centro c’era un diamante che sembrava vero. Ai piedi nudi aveva dei sandali che le fasciavano i polpacci fin sotto il ginocchio.

Io continuavo a ingurgitare tonno rosso con quintali di wasabi: sarà stato quello a farmi sudare copiosamente, oppure il vino ghiacciato? o il caldo?

Comunque sudavo e lei mi guardava con un aria sorniona mentre cercavo di parlarle

di soldi

“ in questo momento non ho contanti ma..sai, ci potremmo accordare”

si era avvicinata passando rasente la scrivania, sentivo il suo profumo

“ non hai perso il vizio di non lavarti”, mi disse

“ma hai sempre avuto un buon odore”

Presi un maki e l’alga mi si incastrò nei denti, lei mi mise le mani nella patta e ne trasse fuori qualcosa, forse un trancio di sushi salmone, ero paralizzato.

Prese in mano il buon vecchio sushi e cominciò ad agitarlo come uno shaker con la tipica mancanza di ritmo e sincronia che hanno tutte le donne, gli anelli mi facevano male; dovetti guardarle la scollatura per farmelo diventare duro quindi cercai di baciarla ma lei si voltò e asettica disse

“ti sto pagando”

“see” dissi io e la afferrai per la collottola intenzionato a portarla in camera da letto ma lei non aveva perso i suoi vizio di gioventù, tutto e subito.

“ no, qui, da dietro” disse girandosi.

Era fatta così Mara Tamarra non ero mai riuscito a scoparla alla missionaria, sempre da dietro.

Ecco, a noi uomini farlo come gli animali piace ma se una vuole sempre e solo quello allora lo vuoi fare come i cristiani: chi ha i denti non ha il pane e chi ha il pane si impicca, da dietro.

La sig.ra Lugno si era appoggiata alla scrivania scoprendo due chiappe rotonde come il cerchio di Giotto ma che al tatto avevano una strana consistenza come di polistirolo poi si era scoperta i seni attirando le mie mani sui quei capezzoli di marmo che, invece, erano tutta farina del sacco di mamma natura:

“fammi male” aveva sibilato

mi buttai i pantaloni alle ginocchia e le entrai dentro: era bagnata, ma anche le piscine sono bagnate.

Non fu una cosa molto lunga, un cinque sei minuti, ma comunque dopo pochi secondi lei aveva cominciato a darsi delle pacche sulle chiappe ( che tra l’altro facevano un suono falso, fesso) dicendo “godo, oh godo”.

Sembrava che stesse facendo il compitino, aveva sempre finto e sempre lo avrebbe fatto,

“dimmi troia”

“troia”

“dimmi “puttana”

“puttana”

“eh vieni cazzo”

In quel momento sentii la mancanza della brutta liceale che avevo conosciuto: ai bei tempi anche un innocente petting con Mara Tamarra nel bagno della scuola era un supplizio; l’eiaculazione precoce era sempre in agguato nascosta dietro quelle tette magnifiche.

Qui invece c’era da impegnarsi davvero mi aggrappai ai capezzoli come ad un tronco nella tempesta e cominciai a pestare nel mortaio, mi sembrava di nuotare in una piscina olimpionica ma il bordo era sempre lontanissimo.

Lei continuava a dire di godere ma si sarebbe potuta fare la manicure anzi di sfuggita notai che tra un gemito e l’altro afferrava un pezzo di sushi di tonno rosso lo pucciava nel barattolino della soia e se lo portava alla bocca.

Quando intuì che stava venendo il momento di venire mi disse in tono neutro

“sii , vienimi tutto dentro” ,

estrassi l’uccello e le venni sul vestito bello soddisfatto

“figlio di puttana”, sibilò lei “è di Valentino”

“ la mia tariffa è quindici all’ora, più gli extra, mi devi centotrenta”

“cane”

“sai com’è”

“non ho contanti ti ho detto”

“va bene un assegno”

Aveva preso la borsetta e aveva firmato un assegno dicendomi

“sono duecento, compresa la scopata”

“mi valuti un po’ poco”

“ hai un cazzo minuscolo”

“ sai com’è”

la gatta si era avvicinata al tavolo, affamata

“mandala via, odio i gatti” aveva sibilato: sembrava non sapesse fare altro che sibilare.

“sei sempre stato un merda succhia cazzi” affermò lapidariamente mentre si abbassava la gonna su quelle chiappe false come Giuda

“ sei una merda” disse mentre cercava di pulire il vestito con un fazzoletto “ ma del resto cosa si poteva pretendere da uno che si chiama Antonio Miani e va in giro a farsi chiamare tony Mi-ami”

“maiemi” la corressi mentre usciva e aggiunsi

“Ah, già che ci sei salutami la tua amica”

“ quale amica?”

”, digli che la prossima volta gliele taglio io le unghie… e lascia qui il sushi“

Lei fece un aria indignata ma poi, forse per la prima volta, ci guardammo negli occhi e per un attimo sembrò di essere tornati nei corridoi tetri del liceo e scoppiammo a ridere di gusto quasi piegandoci a tenerci la pancia.

Dopo qualche minuto lei mi sorrise e disse

“Va beh, addio”

Le feci un cenno affermativo con la testa e lei uscì nell’afa e nel puzzo di merda e piscio.

Povero Giulio Lugno …… e poveri noi …

faceva un caldo terribile, accesi la tv e provai a seguire un manipolo di politici che blaterava, impossibile.

Spensi la tv e presi il libro di Simenon, niente, troppo caldo.

Spensi la luce e rimasi seduto nel buio, aspettando qualcosa che non sarebbe

Industrie cervello.
avercelo un cervello.
un senso direzione e verso.
non ci resta che fare versi come
dei babbuini in calore
col culo rosso fiammante:
non me ne vogliano
i babbuini