domenica 11 luglio 2010


in attesa del secondo capitolo dell'avventura 2 il nonno di tony miami ecco uno dei due racconti pubblicati sull'antologia milano noir e giald a cura di cox 18 per agenzia x

Giulio Lugno

Una storia erotica di Tony Miami

Milano sembrava un maledetto forno rovente, una minestra riscaldata senza sale, una sauna edipica,

era il 21 giugno e la gatta non si muoveva dal suo scranno se non per sbocconcellare svogliata un po’ di cibo.

Stavo seduto sulla mia poltrona con il ventilatore puntato sui coglioni una birra ghiacciata e un paio di libri gialli in mano su cui non riuscivo a decidermi:

“Chaindler o Simenon?... Ketchup o Cat sup?”

La cassaforte dei Playmobil sotto la piastrella rotta conteneva un paio di banconote da cinquanta; la radio trasmetteva indolente musica italiana, non avevo nulla da fare e così tanto tempo.

Fu a quel punto che entrò senza suonare il campanello: era una bellissima donna avvolta in un vestitino su misura di quel color rosa confetto succhiato che andava tanto sulle riviste femminili di quel anno, neanche una sbavatura nonostante i trenta gradi centigradi.

“Tony” aveva esclamato “ Tony Mi- ami”

“ Maiemi “ l’avevo corretta un po’ imbarazzato

“ seee, come no “ la voce mi era vagamente famigliare ma ero sicuro di non averla mai vista, la esaminai dai piedi a salire:

Aveva stivali neri di cuoio coi tacchi alti e cosce mozzafiato, fianchi larghi e ben proporzionati che lasciavano presagire un culo da favola, la pancia era piatta come una tavola da surf e poi c’era quel seno che…

“Oh cazzo…”

quelle due sfere perfette erano quelle di Mara Tamarra, la mia compagna del liceo, ma lei non era più lei, anche il volto aveva qualcosa di diverso. Quasi tutto, direi.

La timida liceale col naso adunco e il culo largo ma nelle cui splendide tette avevo affondato la faccia ai bei tempi era diventata una gran bella figliola

“Mara, Mara…” dissi “… non mi ricordo più il cognome”

“Gagliano, ma adesso sono la signora Lugno”

“ Cristo, ma cosa ti è successo?”

“ hai visto? come mi trovi?” aveva detto roteando come una diva

sei splendida” dissi convinto: non so se era per l’afa ma sudavo copiosamente.

“sono venuta per offrirti un lavoro, cercavo un investigatore sulla guida, ho visto il tuo soprannome e mi sono chiesta, sarà lui?”

“e così eccoti qui” avevo risposto scettico: dalle nebbie dei tempi del liceo cominciavano a riaffiorarmi alla mente altri ricordini riguardo a Mara Tamarra, meno piacevoli delle sue tette.

La gatta le si era avvicinata e lei schifata aveva detto “mandala via, sono allergica ai gatti”

“Sii - uxie, fuori dalle palle”

la micetta aveva alzato il suo musino bianco mi aveva scrutato con occhi pieni di gelosia ed era ritornata sul suo scranno girandosi dall’altra parte.

Insomma, il caso era questo: Mara aveva fatto successo nel mondo dello spettacolo: telepromozioni, televendite, comparsate in TV, filettini; poi il suo manager, Giulio Lugno, uno immanicato con le case di produzione, si era innamorato di lei e le aveva chiesto di sposarla.

Lei aveva ovviamente accettato e da quel giorno lui non aveva mai smesso di pagarle operazioni di chirurgia plastica: liposuzione , rinoplastica, blefaroplastica, lifting facciale, stiramento rughe, assestamento dei fianchi ritocco all’ombelico, ecc. ecc. ecc.

Di originale era rimasto solo il seno e un motivo c’era, io ve lo posso dire: aveva le più belle tette del Liceo Scientifico Statale Salvador Allende.

Il problema era che suo marito, che lei aveva lasciato da oltre sei mesi, secondo lei la tradiva,

“come potrai ben capire non è perché sono innamorata, tu sai che non sono il tipo”

lo sapevo benissimo, Mara era la classica ragazza cresciuta davanti ai programmi TV, l’amore per lei era quello delle trasmissioni di Maria de Farloppis: una farsa.

Era solo che Giulio Lugno, quando l’aveva sposata, le aveva fatto firmare un contratto matrimoniale, “ hai presente quella roba, tipo americana che in caso di divorzio non si beccano gli alimenti senza le prove di un tradimento?”

“ più o meno”

“stamattina, comunque, ho scoperto che Giulio aveva prenotato una stanza al GuglielMotel per le cinque di oggi e quindi ho pensato che potevo incastralo, sai? l’idea di andare a vivere senza soldi è per me inaccettabile, quindi se mi porti delle foto , come dire, compromettenti, ti pagherò profumatamente”

“ la mia tariffa e quindici euro l’ora più le spese”

“sai che non c’è problema”

non ne ero così sicuro, comunque, ci congedammo.

La osservai camminare scodinzolando per la via facendo lo slalom tra le merde di cane, e pensai, viva la chirurgia plastica.

A questo punto avevo circa tre ore di tempo per svolgere il mio sporco lavoro.

Presi la lancia Valona e, percorrendo la tangenziale west, arrivai a Settimo Milanese: il GuglielMotel era li, mostruosa architettura Assiro Milanese indicata da un enorme cartellone con tanto di mela e freccia.

A quanto pareva si trattava di uno di quei motel di pseudo lusso con stanze a tema, rifugio per coppiette clandestine con ambizioni da novella 2000.

Tra la reception e il pretenzioso Bar “lounge” abbordai una cameriera di mezza età con una bocca stolta e gli occhi vivaci come quelli di una mucca al pascolo.

Mostrai il mio tesserino ( semi - falso) e le rifilai una storia di corna tra cugini, madri straziate, matrimoni rovinati, per dare credibilità alla mia storia tirai fuori addirittura delle foto di mia madre che tenevo nel portafoglio e che sortirono un certo effetto ma, alla fine, furono i miei ultimi 50 euro a convincerla ad introdurmi nella stanza che il signor Lugno aveva prenotato: la stanza della Rivoluzione Francese.

“ Scusi se sono indiscreto ma si tratta di deformazione professionale, le altre stanze a cosa sono ispirate?”

avevo chiesto sorridendo esteriormente e ghignando internamente

“ ma lei signore non mi sembra affatto deforme”

“ …è che…lasci perdere” la donna mi guardava con aria adorante

“ Beh… abbiamo la stanza dei Pirati dei Caraibi e la stanza del Maraaja, la stanza degli specchi e quelle della rivoluzione francese e russa, e poi naturalmente la suite…”

fece un pausa per la suspence,

su, provi a indovinare” mi chiese mentre i suoi occhi da mucca si tramutavano in quelli di un ermellino allevato in cattività, “ pensi che l’ha progettata personalmente il proprietario …”

“Mah…” feci dubbioso sbirciando una sul bancone “ forse a Guglielmo Tell?”

la geniale faina di passo rimase a bocca aperta

“ come ha fatto a indovinare? Si vede proprio che lei è un investigatore … pensi, ci sono anche arco e freccia anche se abbiamo dovuto mettergli la punta di plastica dopo quel disgraziato incidente di due anni fa …“

“Ah si? “ tagliai corto senza inoltrarmi troppo nei dettagli di quell’oscura vicenda, il tempo stringeva.

Salii per le scale di servizio nella camera che il “vecchio porco” aveva prenotato.

Prima di appiattarmi nell’armadio diedi un occhiata in giro: i proprietari avevano fatto le cose in grande, alla parete il famoso quadro di Robespierre che si taglia le vene nella vasca da bagno, specchi e armadi in finto stile luigi qualche numero e, nell’angolo, il non plus ultra: una vera ghigliottina.

Toccai con un dito la lama di plastica e cercai di non pensare all’incidente che aveva spinto il proprietario alla sostituzione della lama.

Preparai la trappola: con esposimetro e cavalletto posizionai la macchina senza flash e senza suoni di scatto, mi fumai una sigaretta sul davanzale e mi infilai nell’armadio osservando il letto dallo spiraglio che avevo lasciato aperto.

Alle cinque e dieci Giulio Lugno entrò con una ragazzina di non più di vent’anni. Il “vecchio porco” non era affatto vecchio, avrà avuto più o meno quarant’anni e sarebbe potuto essere un bell’uomo se gli si fosse sostituita quella bocca contorta e il naso fremente da cocainomane oltre naturalmente ai capelli tinti e pettinati come Sgarbi.

I due stavano contrattando sul prezzo, la ragazza masticava un chewing gum:

“voglio poterti chiamare Mara”

“sono venti euro in più” sbiascicò lei

Lui estrasse un portafoglio di pelle le allungò duecentoventi euro poi cominciò a farle una strana pedicure con un tagliaunghie a forma di ghigliottina, “pensa Mara” diceva

“ questo l’ho fatto fare apposta per te, sai?...il padrone del motel è un mio amico”

“a see?” rispose lei mentre sfogliava Mens Health affatto interessata.

Quando le cose presero un piega un po’ più seria cominciai a scattare.

Prima di arrivare alla copula lui volle che lei gli facesse lo stesso servizietto di pedicure

“ aho’ ma che, sei scemo? Che schifo”

Mr Lugno estrasse un portagioie e stese due spranghe di coccoina

“vedi se questa ti aiuta ad aver meno schifo”

“ mah ti dirò…” rispose lei, ma snasò tutto come un aspirapolvere; le vidi gli occhi cambiare da così a cosà adesso avrebbe potuto cucinare rognone di cristiano , volendo.

La ragazza aveva parecchie difficoltà con lo strumento da taglio ma tanto dopo pochi minuti lui le saltò addosso tirandosi i calzoni nelle caviglie

“ oh mara, mara…marahhhhh”

Fu roba breve e lui pretese che lei gli schiaffeggiasse per un po’ il sedere per punizione con un frustino che aveva estratto dalla valigetta.

Dopo mezzora stavano uscendo. La cosa che mi lasciò un po’ perplesso, dopo tutto, fu il fatto che al momento di richiudere la porta la ragazzina che non aveva mai smesso di masticare il suo chewingum aveva guardato verso l’armadio e aveva fatto l’occhiolino.

Tornai in ufficio con strani pensieri,

L’amara Mara Tamarra, la sig.ra Lugno, lo aveva conciato proprio bene quel tale, le telefonai per darle appuntamento e mi mangiai una scatoletta di tonno.

Lei arrivò attorno alla mezzanotte, entrò senza suonare con un vassoio di sushi e una bottiglia di vino bianco in mano, “ dobbiamo festeggiare”

Io mi ero appisolato, ero sudato, sporco; fuori una luna enorme faceva l’occhiolino ai navigli e, strano a dirsi, non c’era troppa gente in giro: troppo caldo.

La guardai tra i fumi del sonno: vestiva un tubino attillato che le scopriva l’ombelico al cui centro c’era un diamante che sembrava vero. Ai piedi nudi aveva dei sandali che le fasciavano i polpacci fin sotto il ginocchio.

Io continuavo a ingurgitare tonno rosso con quintali di wasabi: sarà stato quello a farmi sudare copiosamente, oppure il vino ghiacciato? o il caldo?

Comunque sudavo e lei mi guardava con un aria sorniona mentre cercavo di parlarle

di soldi

“ in questo momento non ho contanti ma..sai, ci potremmo accordare”

si era avvicinata passando rasente la scrivania, sentivo il suo profumo

“ non hai perso il vizio di non lavarti”, mi disse

“ma hai sempre avuto un buon odore”

Presi un maki e l’alga mi si incastrò nei denti, lei mi mise le mani nella patta e ne trasse fuori qualcosa, forse un trancio di sushi salmone, ero paralizzato.

Prese in mano il buon vecchio sushi e cominciò ad agitarlo come uno shaker con la tipica mancanza di ritmo e sincronia che hanno tutte le donne, gli anelli mi facevano male; dovetti guardarle la scollatura per farmelo diventare duro quindi cercai di baciarla ma lei si voltò e asettica disse

“ti sto pagando”

“see” dissi io e la afferrai per la collottola intenzionato a portarla in camera da letto ma lei non aveva perso i suoi vizio di gioventù, tutto e subito.

“ no, qui, da dietro” disse girandosi.

Era fatta così Mara Tamarra non ero mai riuscito a scoparla alla missionaria, sempre da dietro.

Ecco, a noi uomini farlo come gli animali piace ma se una vuole sempre e solo quello allora lo vuoi fare come i cristiani: chi ha i denti non ha il pane e chi ha il pane si impicca, da dietro.

La sig.ra Lugno si era appoggiata alla scrivania scoprendo due chiappe rotonde come il cerchio di Giotto ma che al tatto avevano una strana consistenza come di polistirolo poi si era scoperta i seni attirando le mie mani sui quei capezzoli di marmo che, invece, erano tutta farina del sacco di mamma natura:

“fammi male” aveva sibilato

mi buttai i pantaloni alle ginocchia e le entrai dentro: era bagnata, ma anche le piscine sono bagnate.

Non fu una cosa molto lunga, un cinque sei minuti, ma comunque dopo pochi secondi lei aveva cominciato a darsi delle pacche sulle chiappe ( che tra l’altro facevano un suono falso, fesso) dicendo “godo, oh godo”.

Sembrava che stesse facendo il compitino, aveva sempre finto e sempre lo avrebbe fatto,

“dimmi troia”

“troia”

“dimmi “puttana”

“puttana”

“eh vieni cazzo”

In quel momento sentii la mancanza della brutta liceale che avevo conosciuto: ai bei tempi anche un innocente petting con Mara Tamarra nel bagno della scuola era un supplizio; l’eiaculazione precoce era sempre in agguato nascosta dietro quelle tette magnifiche.

Qui invece c’era da impegnarsi davvero mi aggrappai ai capezzoli come ad un tronco nella tempesta e cominciai a pestare nel mortaio, mi sembrava di nuotare in una piscina olimpionica ma il bordo era sempre lontanissimo.

Lei continuava a dire di godere ma si sarebbe potuta fare la manicure anzi di sfuggita notai che tra un gemito e l’altro afferrava un pezzo di sushi di tonno rosso lo pucciava nel barattolino della soia e se lo portava alla bocca.

Quando intuì che stava venendo il momento di venire mi disse in tono neutro

“sii , vienimi tutto dentro” ,

estrassi l’uccello e le venni sul vestito bello soddisfatto

“figlio di puttana”, sibilò lei “è di Valentino”

“ la mia tariffa è quindici all’ora, più gli extra, mi devi centotrenta”

“cane”

“sai com’è”

“non ho contanti ti ho detto”

“va bene un assegno”

Aveva preso la borsetta e aveva firmato un assegno dicendomi

“sono duecento, compresa la scopata”

“mi valuti un po’ poco”

“ hai un cazzo minuscolo”

“ sai com’è”

la gatta si era avvicinata al tavolo, affamata

“mandala via, odio i gatti” aveva sibilato: sembrava non sapesse fare altro che sibilare.

“sei sempre stato un merda succhia cazzi” affermò lapidariamente mentre si abbassava la gonna su quelle chiappe false come Giuda

“ sei una merda” disse mentre cercava di pulire il vestito con un fazzoletto “ ma del resto cosa si poteva pretendere da uno che si chiama Antonio Miani e va in giro a farsi chiamare tony Mi-ami”

“maiemi” la corressi mentre usciva e aggiunsi

“Ah, già che ci sei salutami la tua amica”

“ quale amica?”

”, digli che la prossima volta gliele taglio io le unghie… e lascia qui il sushi“

Lei fece un aria indignata ma poi, forse per la prima volta, ci guardammo negli occhi e per un attimo sembrò di essere tornati nei corridoi tetri del liceo e scoppiammo a ridere di gusto quasi piegandoci a tenerci la pancia.

Dopo qualche minuto lei mi sorrise e disse

“Va beh, addio”

Le feci un cenno affermativo con la testa e lei uscì nell’afa e nel puzzo di merda e piscio.

Povero Giulio Lugno …… e poveri noi …

faceva un caldo terribile, accesi la tv e provai a seguire un manipolo di politici che blaterava, impossibile.

Spensi la tv e presi il libro di Simenon, niente, troppo caldo.

Spensi la luce e rimasi seduto nel buio, aspettando qualcosa che non sarebbe

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