mercoledì 24 novembre 2010

la salute mentale
se ne è andata
come una foglia al vento,
obbiettivo fondamentale:
arrivare a natale
senza andare a male

venerdì 17 settembre 2010

W I GATTI


Se vi piace il rock n' roll
e le sue emanazioni punk
tipo ramones , television, richard hell and the voivoids leggete
" PLEASE KILL ME "
La storia del punk nei racconti dei suoi protagonisti.

Dee Dee e Joey Ramone vi sia lieve la terra

martedì 17 agosto 2010

[.....]

giovedì 12 agosto 2010











Tutti abbiamo un cervello...
o almeno così si dice...
a me il cervello
non mi si addice...

il fegato si che ha una bella personalità,
schizoide,
ma pur sempre una bella personalità;













mercoledì 11 agosto 2010



mondi invertiti,
mondi immondi,
mondi rossi
quadrati e tondi.

mondi deserti,
mondi annacquati,
mondi dispersi
e disperati...

mondi
alla fine dei conti

mondi cani
mondi gatti
mondi capre
mondi scarafoni
chiaviche di mondo
che altro volete che vi racconto?




lunedì 19 luglio 2010


Ieri, spulciando una serie di cd rom senza nome, mi sono imbattuto in una serie di file word provenienti dalla remota memoria di un vecchio computer da tempo diventato un rifiuto tossico smaltito in una discarica abusiva dell Africa Subsahariana.
Tra le tante cose ho trovato un file chiamato " le ultime lettere di Yacopo Ortles" che conteneva il racconto che vado a pubblicare e che mi era stato regalato proprio dal mio amico Yacopo Ortles di cui, prima di lasciarvi al racconto vado a fare una breve biografia

Classe 1977, Yacopo M. Ortles è figlio unico di un avvocatessa e del dio dei venti Eolo.
Deve il suo secondo nome ( Mauser ) alla passione del nonno materno per le armi naziste.
Dopo la tipica infanzia milanese anni ottanta ( ghiaccioli, gettoni del telefono, partite di calcio ai giardinetti sotto casa con la tuta con le toppe sulle ginocchia) frequenta con pessimo risultati i licei classici Berchet, Manzoni, Brecht e Luigi Pulci. Anarchico della prima ora studia da autodidatta le opere di bakunin, trozzki e compagni bella.

La comune passione per le droghe leggere e semi leggere lo avvicina alla fine anni 90 al gruppo da me fondato " Atro - City" dove tra alterne vicende provammo a fare dell'arte scevra dalle influenze del mondo esterno e del imperante cultura del calcio in culo.
Per riassumere, cercavamo di non scrivere frasi del tipo " le persone egocentrate vengono shiftate automativamente verso ambiti dove, grazie alla loro proattività, per quanto influenzata da circostanze esogene...poteva avere....bla bla bla"...e chi più ne ha più ne metta.
Indagato più volte per associazione sovversiva e manifestazione sediziosa una sera dopo un acceso diverbio con il sottoscritto riguardo al ruolo di Higgins nel telefilm Magnum P.I., si allontana dalla saletta del circolo Arci bellezza dove stavamo bevendo una birra calda dicendo che andava compare le sigarette. Da allora non si fatto più sentire.
Questo racconto scritto ad occhio e croce nel 2003 fa parte della più ampia raccolta inedita e definitivamente smarrita "Milano Odd school"
Industrie cervello vi augura buona lettura di questo racconto agrodolce che, a noi, ci ha fatto ampiamente sghignazzare

"ESAME DI COSCIENZA "DI Yacopo M. Ortles

Sono ore che sto a letto e non dormo. Sono giorni che ho la tosse, e sono giorni che la trascuro e che continuo a fumare (ma un po’ meno del solito). La tosse, quando inizia, è pastosa, ricca di catarri: alla fine è secca e squassa i polmoni. Qualcosa, da qualche parte nella gola, mi ricorda che devo continuare a tossire convulsamente. La posizione orizzontale peggiora la situazione, ma io voglio provare a dormire.

Inizia un attacco peggiore del solito: raglio come un asino e faccio fischi di trachea.

E ad un certo punto sputo la mia Coscienza. Mi succede, come, penso, a tutti voi, dacchè ho l’età della ragione e del discernimento. L’unico periodo in cui non mi capitava era quando pigliavo eroina. Questo perchè, come ognuno sa, gli oppiacei sono ottimi sedativi della tosse. Niente tosse, niente Coscienza. Mio nonno si faceva di sciroppo alla codeina, ed io rimpiango i buoni tempi antichi in cui era in libera vendita.

La mia Coscienza con gli anni ha cambiato d’aspetto: una volta era un donnino di trenta centimetri. Era tozza e muscolosa, aveva i capelli rossi e le lentiggini, la faccia larga e le tette avvizzite. Dava un’idea di vigore. Adesso pare uno stronzo di mare. Gli stronzi di mare sarebbero le oloturie, che sono echinodermi, come i ricci e le stelle marine. Ma il nome popolare rende meglio l’idea. Sarà lungo una ventina di centimetri, marrone, coriaceo e molle al tempo stesso, con tanti minuscoli pedicelli. A differenza dello stronzo di mare, la parte anteriore sta eretta su quella posteriore, in più ha occhietti neri, tutti pupille, e una boccuccia sorridente con dei canini che sporgono agli angoli.

La Coscienza, venendo dai polmoni o giù di lì, inevitabilmente puzza: puzza di nicotina rancida, di cibi mal digeriti, di placche in gola.

Tento di addormentarmi, ma quella mi morde due volte la guancia sinistra. Apro gli occhi e la vedo masticare piccoli brandelli di carne. La stronza ti impedisce di dormire. Sorride.

“Perchè cambi d’aspetto?”

“Libertà di Coscienza: non sono cazzi tuoi.”

“Perchè vieni con la tosse, nelle notti insonni?”

“Obiezione di Coscienza: tu non devi fare domande. E’ la Coscienza a fare gli esami.”

Alla mia Coscienza sembrano piacere i giochi di parole, e ha un pessimo senso dell’umorismo. Quando parla, si contorce tutta. La sua voce è stridula.

“Iniziamo subito!”

Sono rassegnato.

“Quattro per quattro? Cosa pensi dei film di Nanni Moretti? Ami la tua fidanzata? E’ più difficile a digerirsi la peperonata o i crauti col carrè di maiale? Se fossi costretto, chi uccideresti tra tuo padre, tua madre e tuo fratello? Perchè la gatta che va al lardo ci lascia lo zampino? Come mai i giovani ricchi fanno i poveri e i giovani occidentali fanno i terzomondisti? Posa, altruismo o senso di colpa? Su chi o cosa cagheresti per ambizione? Perchè non piangi ai funerali? Ti piacciono le poppe di caucciù di Barbara D’Urso? Chi ti sbatteresti volentieri? Galline oggi o uova domani? Ti rendi conto che non fai un cazzo da mattina a sera? Il piacere è pericoloso? Il pericolo è piacevole? La formula del cloruro di potassio? Come sarai tra dieci anni? Quante menzogne dici al giorno, in media? [...]

Vi risparmio il resto. La Coscienza fa domande, ma non le interessa se conosco o meno le risposte, e neppure se sto mentendo a me stesso. In realtà non aspetta neppure che articoli risposte, né verbali, né mentali. Non le interessa seguire un filo logico. Ad ogni domanda, la Coscienza puzza sempre di più, le crescono ventose, spine, opercoli e brufoli, trascolora in una tonalità via via più indefinita e melmosa, unge le lenzuola con un liquido vischioso.

“E’ sporchetta, la tua Coscienza, eh?”

Avrete notato che parla sempre di sé in terza persona.

“Adesso devi lavare la Coscienza.”

“Come?”

“Succhiandomi, ovviamente.”

“Mi fa schifo.”

“Senti, bello: non sei proprio nella posizione per stare a questionare. Tu devi agire secondo Coscienza, e quindi vedi di fare ciò che la Coscienza t’impone”

Impugno la stronza maleododorante, ed inizio ad infilarmela in bocca dalla testa, cioè dalla zona dove c’ha occhietti e boccuccia. Spero la smetta di parlare, ma non c’è niente da fare.

“Ti piace, eh? Finocchio represso! Pompinaro! Succhia, succhia. Bocchini! Chinotti! Sufloni! [...]

Avrete capito che non è una Coscienza di classe.

Mi vibra tutta in bocca. Coi peduncoli e le ventose si spinge sempre più in fondo nella gola. Tremo anch’io, per i conati di vomito. E alla fine sbocco bile e, con la bile, pure, la Coscienza.

“Bravo! La tua Coscienza è pulita, adesso”

Sembra più piccola, ha cambiato colore in un grigio opaco, e ora puzza di acido, di succhi gastrici. Non la definirei pulita, ma se va bene a lei, io sono a posto.

Appoggio la testa sul cuscino. Voglio dormire. Domani mattina la Coscienza sarà tornata da dove è venuta, e preferisco non sapere come ci torni .

L’ultimo mio pensiero va a mia nonna, che è morta recentemente. Devo ricordarmi di andarle a svuotare l’armadietto dei medicinali di tutti i sonniferi e gli antidepressivi, prima che qualcuno decida di fargli fare un volo.

giovedì 15 luglio 2010


LA DONNA CHE TRASFORMAVA GLI UOMINI IN GATTI

Credo di avere cominciato a capire quando il pomello della porta si è fatto sempre più distante e le parole di radio popolare hanno smesso di avere senso.

Erano due anni che stavamo insieme, ma ormai era troppo tardi.

Quando ero venuto a vivere con Lei c’era quel gatto nero vecchio e malandato e facevamo l’amore tutte le sere.

Facemmo sesso anche quel fine settimana in cui il Nero tirava gli ultimi affianco al termosifone.

Si era pisciato addosso ma ci guardava con grande dignità, schifato dal mondo, senza paura.

Deve essere cominciato quel giorno perché Lei dopo aver pianto calde lacrime sul corpo della bestiola mi aveva guardato in maniera diversa e io mi ero accoccolato ai Suoi piedi cercando per consolarla.

In quel anno, ci penso solo ora, le cose cambiarono.

Uscivo sempre meno e mai senza di Lei…brevi passeggiate.

Avevo smesso di cucinare e mangiavo solo quello che Lei mi metteva nel piatto.

La notte mi accucciavo sui Suoi piedi e dal cuore mi usciva un grugnito di piacere.

Passavo le giornate accoccolato sul divano aspettando il Suo ritorno, il calore del Suo corpo.

Tardavo a capire, fu solo quando il pomello della porta divenne così lontano che misi a fuoco la realtà.

Corsi allo specchio e per un breve istante vidi la mia immagine: uno splendido soriano grigio tigrato giovane e bello.

Fu solo un attimo di coscienza poi mi scagliai contro quello sconosciuto e sbattei… il figlio di una gatta stava dietro un vetro e mi guardava.

Ormai evito di dargli retta, è un provocatore, non guardo negli specchi e risolvo il problema…e La aspetto.

…ed ecco che il pomello gira e Lei entra bella e profumata, riempie la mia ciotola e mentre io mangio si siede sul divano e accende la tv.

So che sta guardando “un posto al sole” lo guardava sempre, e io guardo lei che mi dice “vieni qui tonto” e così mi accoccolo e un grugnito di felicità mi esce dal cuore mentre mi accarezza la collottola: anch’io ho il mio posto al sole.

E’ inverno e abbiamo freddo e ci scaldiamo l’un l’altro, lei mi tira le vibrisse e mi carezza dolcemente e io, che non so quasi niente, so che siamo felici.

“ti amo” le dico ma dalla mia gola dal mio stomaco esce solo uno struggente felice Meowfrr…

PIERCE & LOVE.
tecnica mouse su schermo, colori: paint
alle 23.59 e 59 secondi del 21.12.2012 il mondo degli uomini stava andando avanti come sempre poi, un secondo dopo, il verme era partito.
E come il verme del famoso videogioco aveva cominciato a mangiare tutti i numeri in tutti i sistemi informatici ed elettronici del pianeta e insomma, che ve lo sto a dire il mattino dopo il mondo era nel caos.
le lancette della bussola segnavano il sud, ai maschi vennero le mestruazioni e tutto quanto si era fermato.
Io c'ero quel giorno, a Milano.
Su tutta la città soffiava un vento gelato e sembrava quasi di poter toccare le lontane montagne con un dito.
Alle sei di mattina era cominciato l'ingorgo. Le radio erano silenziose, gli orologi fermi eccettuato quelli a carica manuale. Alle sette ci fu il primo suicida un tizio in giacca e cravatta che aveva un importante appuntamento. Era bloccato in viale Bazzi da circa due ore e mezza e non si era mosso di un metro, non aveva ancora spento il motore nella speranza che l'ingorgo ripartisse, digitava furiosamente sul proprio palmare ma qualsiasi cifra schiacciasse lo strumento scriveva sempre e solo "0"...quando la batteria si era scaricata e aveva visto le prime persone tornare verso la periferia a piedi dopo avere abbandonato la propria auto si era tolto le scarpe, aveva ripiegato la giacca e con la cravatta si era costruito un cappio lo aveva legato alla maniglia di sostegno e si era lasciato andare, per morire aveva dovuto fare un grande sforzo di volontà, aveva tenuto le gambe strette al petto per non toccare terra fino a quando non si era rotto la trachea...
Io c'ero, ero al balcone e dopo un po' avevo tirato giù le tapparelle ed ero tornato a dormire, quel giorno niente lavoro, per fortuna.

domenica 11 luglio 2010


in attesa del secondo capitolo dell'avventura 2 il nonno di tony miami ecco uno dei due racconti pubblicati sull'antologia milano noir e giald a cura di cox 18 per agenzia x

Giulio Lugno

Una storia erotica di Tony Miami

Milano sembrava un maledetto forno rovente, una minestra riscaldata senza sale, una sauna edipica,

era il 21 giugno e la gatta non si muoveva dal suo scranno se non per sbocconcellare svogliata un po’ di cibo.

Stavo seduto sulla mia poltrona con il ventilatore puntato sui coglioni una birra ghiacciata e un paio di libri gialli in mano su cui non riuscivo a decidermi:

“Chaindler o Simenon?... Ketchup o Cat sup?”

La cassaforte dei Playmobil sotto la piastrella rotta conteneva un paio di banconote da cinquanta; la radio trasmetteva indolente musica italiana, non avevo nulla da fare e così tanto tempo.

Fu a quel punto che entrò senza suonare il campanello: era una bellissima donna avvolta in un vestitino su misura di quel color rosa confetto succhiato che andava tanto sulle riviste femminili di quel anno, neanche una sbavatura nonostante i trenta gradi centigradi.

“Tony” aveva esclamato “ Tony Mi- ami”

“ Maiemi “ l’avevo corretta un po’ imbarazzato

“ seee, come no “ la voce mi era vagamente famigliare ma ero sicuro di non averla mai vista, la esaminai dai piedi a salire:

Aveva stivali neri di cuoio coi tacchi alti e cosce mozzafiato, fianchi larghi e ben proporzionati che lasciavano presagire un culo da favola, la pancia era piatta come una tavola da surf e poi c’era quel seno che…

“Oh cazzo…”

quelle due sfere perfette erano quelle di Mara Tamarra, la mia compagna del liceo, ma lei non era più lei, anche il volto aveva qualcosa di diverso. Quasi tutto, direi.

La timida liceale col naso adunco e il culo largo ma nelle cui splendide tette avevo affondato la faccia ai bei tempi era diventata una gran bella figliola

“Mara, Mara…” dissi “… non mi ricordo più il cognome”

“Gagliano, ma adesso sono la signora Lugno”

“ Cristo, ma cosa ti è successo?”

“ hai visto? come mi trovi?” aveva detto roteando come una diva

sei splendida” dissi convinto: non so se era per l’afa ma sudavo copiosamente.

“sono venuta per offrirti un lavoro, cercavo un investigatore sulla guida, ho visto il tuo soprannome e mi sono chiesta, sarà lui?”

“e così eccoti qui” avevo risposto scettico: dalle nebbie dei tempi del liceo cominciavano a riaffiorarmi alla mente altri ricordini riguardo a Mara Tamarra, meno piacevoli delle sue tette.

La gatta le si era avvicinata e lei schifata aveva detto “mandala via, sono allergica ai gatti”

“Sii - uxie, fuori dalle palle”

la micetta aveva alzato il suo musino bianco mi aveva scrutato con occhi pieni di gelosia ed era ritornata sul suo scranno girandosi dall’altra parte.

Insomma, il caso era questo: Mara aveva fatto successo nel mondo dello spettacolo: telepromozioni, televendite, comparsate in TV, filettini; poi il suo manager, Giulio Lugno, uno immanicato con le case di produzione, si era innamorato di lei e le aveva chiesto di sposarla.

Lei aveva ovviamente accettato e da quel giorno lui non aveva mai smesso di pagarle operazioni di chirurgia plastica: liposuzione , rinoplastica, blefaroplastica, lifting facciale, stiramento rughe, assestamento dei fianchi ritocco all’ombelico, ecc. ecc. ecc.

Di originale era rimasto solo il seno e un motivo c’era, io ve lo posso dire: aveva le più belle tette del Liceo Scientifico Statale Salvador Allende.

Il problema era che suo marito, che lei aveva lasciato da oltre sei mesi, secondo lei la tradiva,

“come potrai ben capire non è perché sono innamorata, tu sai che non sono il tipo”

lo sapevo benissimo, Mara era la classica ragazza cresciuta davanti ai programmi TV, l’amore per lei era quello delle trasmissioni di Maria de Farloppis: una farsa.

Era solo che Giulio Lugno, quando l’aveva sposata, le aveva fatto firmare un contratto matrimoniale, “ hai presente quella roba, tipo americana che in caso di divorzio non si beccano gli alimenti senza le prove di un tradimento?”

“ più o meno”

“stamattina, comunque, ho scoperto che Giulio aveva prenotato una stanza al GuglielMotel per le cinque di oggi e quindi ho pensato che potevo incastralo, sai? l’idea di andare a vivere senza soldi è per me inaccettabile, quindi se mi porti delle foto , come dire, compromettenti, ti pagherò profumatamente”

“ la mia tariffa e quindici euro l’ora più le spese”

“sai che non c’è problema”

non ne ero così sicuro, comunque, ci congedammo.

La osservai camminare scodinzolando per la via facendo lo slalom tra le merde di cane, e pensai, viva la chirurgia plastica.

A questo punto avevo circa tre ore di tempo per svolgere il mio sporco lavoro.

Presi la lancia Valona e, percorrendo la tangenziale west, arrivai a Settimo Milanese: il GuglielMotel era li, mostruosa architettura Assiro Milanese indicata da un enorme cartellone con tanto di mela e freccia.

A quanto pareva si trattava di uno di quei motel di pseudo lusso con stanze a tema, rifugio per coppiette clandestine con ambizioni da novella 2000.

Tra la reception e il pretenzioso Bar “lounge” abbordai una cameriera di mezza età con una bocca stolta e gli occhi vivaci come quelli di una mucca al pascolo.

Mostrai il mio tesserino ( semi - falso) e le rifilai una storia di corna tra cugini, madri straziate, matrimoni rovinati, per dare credibilità alla mia storia tirai fuori addirittura delle foto di mia madre che tenevo nel portafoglio e che sortirono un certo effetto ma, alla fine, furono i miei ultimi 50 euro a convincerla ad introdurmi nella stanza che il signor Lugno aveva prenotato: la stanza della Rivoluzione Francese.

“ Scusi se sono indiscreto ma si tratta di deformazione professionale, le altre stanze a cosa sono ispirate?”

avevo chiesto sorridendo esteriormente e ghignando internamente

“ ma lei signore non mi sembra affatto deforme”

“ …è che…lasci perdere” la donna mi guardava con aria adorante

“ Beh… abbiamo la stanza dei Pirati dei Caraibi e la stanza del Maraaja, la stanza degli specchi e quelle della rivoluzione francese e russa, e poi naturalmente la suite…”

fece un pausa per la suspence,

su, provi a indovinare” mi chiese mentre i suoi occhi da mucca si tramutavano in quelli di un ermellino allevato in cattività, “ pensi che l’ha progettata personalmente il proprietario …”

“Mah…” feci dubbioso sbirciando una sul bancone “ forse a Guglielmo Tell?”

la geniale faina di passo rimase a bocca aperta

“ come ha fatto a indovinare? Si vede proprio che lei è un investigatore … pensi, ci sono anche arco e freccia anche se abbiamo dovuto mettergli la punta di plastica dopo quel disgraziato incidente di due anni fa …“

“Ah si? “ tagliai corto senza inoltrarmi troppo nei dettagli di quell’oscura vicenda, il tempo stringeva.

Salii per le scale di servizio nella camera che il “vecchio porco” aveva prenotato.

Prima di appiattarmi nell’armadio diedi un occhiata in giro: i proprietari avevano fatto le cose in grande, alla parete il famoso quadro di Robespierre che si taglia le vene nella vasca da bagno, specchi e armadi in finto stile luigi qualche numero e, nell’angolo, il non plus ultra: una vera ghigliottina.

Toccai con un dito la lama di plastica e cercai di non pensare all’incidente che aveva spinto il proprietario alla sostituzione della lama.

Preparai la trappola: con esposimetro e cavalletto posizionai la macchina senza flash e senza suoni di scatto, mi fumai una sigaretta sul davanzale e mi infilai nell’armadio osservando il letto dallo spiraglio che avevo lasciato aperto.

Alle cinque e dieci Giulio Lugno entrò con una ragazzina di non più di vent’anni. Il “vecchio porco” non era affatto vecchio, avrà avuto più o meno quarant’anni e sarebbe potuto essere un bell’uomo se gli si fosse sostituita quella bocca contorta e il naso fremente da cocainomane oltre naturalmente ai capelli tinti e pettinati come Sgarbi.

I due stavano contrattando sul prezzo, la ragazza masticava un chewing gum:

“voglio poterti chiamare Mara”

“sono venti euro in più” sbiascicò lei

Lui estrasse un portafoglio di pelle le allungò duecentoventi euro poi cominciò a farle una strana pedicure con un tagliaunghie a forma di ghigliottina, “pensa Mara” diceva

“ questo l’ho fatto fare apposta per te, sai?...il padrone del motel è un mio amico”

“a see?” rispose lei mentre sfogliava Mens Health affatto interessata.

Quando le cose presero un piega un po’ più seria cominciai a scattare.

Prima di arrivare alla copula lui volle che lei gli facesse lo stesso servizietto di pedicure

“ aho’ ma che, sei scemo? Che schifo”

Mr Lugno estrasse un portagioie e stese due spranghe di coccoina

“vedi se questa ti aiuta ad aver meno schifo”

“ mah ti dirò…” rispose lei, ma snasò tutto come un aspirapolvere; le vidi gli occhi cambiare da così a cosà adesso avrebbe potuto cucinare rognone di cristiano , volendo.

La ragazza aveva parecchie difficoltà con lo strumento da taglio ma tanto dopo pochi minuti lui le saltò addosso tirandosi i calzoni nelle caviglie

“ oh mara, mara…marahhhhh”

Fu roba breve e lui pretese che lei gli schiaffeggiasse per un po’ il sedere per punizione con un frustino che aveva estratto dalla valigetta.

Dopo mezzora stavano uscendo. La cosa che mi lasciò un po’ perplesso, dopo tutto, fu il fatto che al momento di richiudere la porta la ragazzina che non aveva mai smesso di masticare il suo chewingum aveva guardato verso l’armadio e aveva fatto l’occhiolino.

Tornai in ufficio con strani pensieri,

L’amara Mara Tamarra, la sig.ra Lugno, lo aveva conciato proprio bene quel tale, le telefonai per darle appuntamento e mi mangiai una scatoletta di tonno.

Lei arrivò attorno alla mezzanotte, entrò senza suonare con un vassoio di sushi e una bottiglia di vino bianco in mano, “ dobbiamo festeggiare”

Io mi ero appisolato, ero sudato, sporco; fuori una luna enorme faceva l’occhiolino ai navigli e, strano a dirsi, non c’era troppa gente in giro: troppo caldo.

La guardai tra i fumi del sonno: vestiva un tubino attillato che le scopriva l’ombelico al cui centro c’era un diamante che sembrava vero. Ai piedi nudi aveva dei sandali che le fasciavano i polpacci fin sotto il ginocchio.

Io continuavo a ingurgitare tonno rosso con quintali di wasabi: sarà stato quello a farmi sudare copiosamente, oppure il vino ghiacciato? o il caldo?

Comunque sudavo e lei mi guardava con un aria sorniona mentre cercavo di parlarle

di soldi

“ in questo momento non ho contanti ma..sai, ci potremmo accordare”

si era avvicinata passando rasente la scrivania, sentivo il suo profumo

“ non hai perso il vizio di non lavarti”, mi disse

“ma hai sempre avuto un buon odore”

Presi un maki e l’alga mi si incastrò nei denti, lei mi mise le mani nella patta e ne trasse fuori qualcosa, forse un trancio di sushi salmone, ero paralizzato.

Prese in mano il buon vecchio sushi e cominciò ad agitarlo come uno shaker con la tipica mancanza di ritmo e sincronia che hanno tutte le donne, gli anelli mi facevano male; dovetti guardarle la scollatura per farmelo diventare duro quindi cercai di baciarla ma lei si voltò e asettica disse

“ti sto pagando”

“see” dissi io e la afferrai per la collottola intenzionato a portarla in camera da letto ma lei non aveva perso i suoi vizio di gioventù, tutto e subito.

“ no, qui, da dietro” disse girandosi.

Era fatta così Mara Tamarra non ero mai riuscito a scoparla alla missionaria, sempre da dietro.

Ecco, a noi uomini farlo come gli animali piace ma se una vuole sempre e solo quello allora lo vuoi fare come i cristiani: chi ha i denti non ha il pane e chi ha il pane si impicca, da dietro.

La sig.ra Lugno si era appoggiata alla scrivania scoprendo due chiappe rotonde come il cerchio di Giotto ma che al tatto avevano una strana consistenza come di polistirolo poi si era scoperta i seni attirando le mie mani sui quei capezzoli di marmo che, invece, erano tutta farina del sacco di mamma natura:

“fammi male” aveva sibilato

mi buttai i pantaloni alle ginocchia e le entrai dentro: era bagnata, ma anche le piscine sono bagnate.

Non fu una cosa molto lunga, un cinque sei minuti, ma comunque dopo pochi secondi lei aveva cominciato a darsi delle pacche sulle chiappe ( che tra l’altro facevano un suono falso, fesso) dicendo “godo, oh godo”.

Sembrava che stesse facendo il compitino, aveva sempre finto e sempre lo avrebbe fatto,

“dimmi troia”

“troia”

“dimmi “puttana”

“puttana”

“eh vieni cazzo”

In quel momento sentii la mancanza della brutta liceale che avevo conosciuto: ai bei tempi anche un innocente petting con Mara Tamarra nel bagno della scuola era un supplizio; l’eiaculazione precoce era sempre in agguato nascosta dietro quelle tette magnifiche.

Qui invece c’era da impegnarsi davvero mi aggrappai ai capezzoli come ad un tronco nella tempesta e cominciai a pestare nel mortaio, mi sembrava di nuotare in una piscina olimpionica ma il bordo era sempre lontanissimo.

Lei continuava a dire di godere ma si sarebbe potuta fare la manicure anzi di sfuggita notai che tra un gemito e l’altro afferrava un pezzo di sushi di tonno rosso lo pucciava nel barattolino della soia e se lo portava alla bocca.

Quando intuì che stava venendo il momento di venire mi disse in tono neutro

“sii , vienimi tutto dentro” ,

estrassi l’uccello e le venni sul vestito bello soddisfatto

“figlio di puttana”, sibilò lei “è di Valentino”

“ la mia tariffa è quindici all’ora, più gli extra, mi devi centotrenta”

“cane”

“sai com’è”

“non ho contanti ti ho detto”

“va bene un assegno”

Aveva preso la borsetta e aveva firmato un assegno dicendomi

“sono duecento, compresa la scopata”

“mi valuti un po’ poco”

“ hai un cazzo minuscolo”

“ sai com’è”

la gatta si era avvicinata al tavolo, affamata

“mandala via, odio i gatti” aveva sibilato: sembrava non sapesse fare altro che sibilare.

“sei sempre stato un merda succhia cazzi” affermò lapidariamente mentre si abbassava la gonna su quelle chiappe false come Giuda

“ sei una merda” disse mentre cercava di pulire il vestito con un fazzoletto “ ma del resto cosa si poteva pretendere da uno che si chiama Antonio Miani e va in giro a farsi chiamare tony Mi-ami”

“maiemi” la corressi mentre usciva e aggiunsi

“Ah, già che ci sei salutami la tua amica”

“ quale amica?”

”, digli che la prossima volta gliele taglio io le unghie… e lascia qui il sushi“

Lei fece un aria indignata ma poi, forse per la prima volta, ci guardammo negli occhi e per un attimo sembrò di essere tornati nei corridoi tetri del liceo e scoppiammo a ridere di gusto quasi piegandoci a tenerci la pancia.

Dopo qualche minuto lei mi sorrise e disse

“Va beh, addio”

Le feci un cenno affermativo con la testa e lei uscì nell’afa e nel puzzo di merda e piscio.

Povero Giulio Lugno …… e poveri noi …

faceva un caldo terribile, accesi la tv e provai a seguire un manipolo di politici che blaterava, impossibile.

Spensi la tv e presi il libro di Simenon, niente, troppo caldo.

Spensi la luce e rimasi seduto nel buio, aspettando qualcosa che non sarebbe

Industrie cervello.
avercelo un cervello.
un senso direzione e verso.
non ci resta che fare versi come
dei babbuini in calore
col culo rosso fiammante:
non me ne vogliano
i babbuini

martedì 22 giugno 2010

venerdì 18 giugno 2010


in attesa della seconda parte del indagine di tony Miami in zona via magolfa pubblico alcune vignette del fumetto Sturie del call center...
come disse il buon vecchio mattea maria boiardo
mentre bruci italia
io canto,
o meglio mentre questo mondo precipita
io provo a cantare
così per niente.
potremmo stare qui a parlare di disastri ambientali e politici per una vita ma non so cosa potrebbe cambiare
viva l'arte e chi la mette da parte


volevo dire cose è stata E per me
un bisturi affilato
con cui tagliare
le budella del sistema
sezionarvi il cuore
e vedere che non è
poi molto diverso da quello di una mucca.

scoprire che l'amore
è una truffa organizzata
e cercare di costruirsi una croce
con cinquemila stuzzicadenti
e un barattolo di colla stantia...

il denaro non da la felicità?
di solito questa cazzata
sono i ricchi a dirla...
di sicuro non avere soldi
fa venire l'angoscia.

domenica 13 giugno 2010

“Un Nonno di Tony Miami”

Prima parte:

“ Due strani clienti”

Il ragazzino che avevo beccato a sbirciare attraverso le lettere trasparenti “ Antonio W. Miami investigatore privato” e che ora sedeva davanti alla mia scrivania aveva la faccia che sembrava un oliva kalamata.

Era in piena età dello sviluppo: tutti i pezzi erano fuori misura, gambe e braccia troppo lunghe, busto troppo corto, una peluria simile a dello sporco sotto il naso troppo piccolo, orecchie a sventola troppo grosse capelli rasati da un tosacani scelto dalla mamma, quello che qui a Milano si dice “ne carn ne pess”.

Dietro le sue spalle ancora infantili spuntava una enorme chioma di ricci neri sopra due enormi occhi verdi decisamente intelligenti e una maglietta di Spoonge Bob: erano i due figli dell’elettrauto all’angolo, un tizio grande e grosso che non avevo mai visto senza la sua tuta blu sporca di tutti i grassi della terra su cui campeggiava la scritta “Facom”.

Li vedevo spesso scorrazzare per via Fusetti con bici sempre diverse e motorini asmatici di dubbia provenienza,

“vorremmo assumerla” aveva detto sostenuto Olivolì, il tono denotava la sua ferrea volontà di apparire più grande e maturo di quanto fosse in realtà ma era un impresa titanica con quella figura bislunga e i capelli che sembravano quelli di un playmobil.

“ che cosa vi è successo di tanto grave per avere bisogno di un investigatore privato?” avevo chiesto con ironia

“ è una storia lunga signore”

“non chiamarmi signore”

“sissignore”

“spiegagli tutto”

Era stato il piccolino a parlare, aveva di sicuro l’aria più sveglia del fratello

“ sta zitto Fra” aveva detto Olivolì, poi aveva proseguito “dunque signore, tutto è cominciato quando ho trovato lo scudetto, signore”

“uno scudetto, una figurina?” avevo chiesto con scetticismo

“ sissignore, quello del genova 1899” aveva detto lui compito “ e quel bastardo di Angelino me l’ha rubato per comprare uno scooter alla banda, quella merda, signore”.

“Calma, calma, mi stai dicendo che siete qui per farmi recuperare una figurina rubata da un vostro amico? E che con quella si comprerebbe uno scooter?”

Mi stavo cominciando ad innervosire, era vero come la luce del sole che da settimane non avevo un cliente e che le riserve monetarie nascoste nel galeone dei playmobil( ancora loro proprio così) si stavano esaurendo, ma mettermi a lavorare per dei mocciosi per di più dall’aria da piccoli teppistelli di periferia neanche troppo intelligenti mi sembrava un po’ troppo.

“ lo sai quanto costa un investigatore privato, mediamente?”

“si, signore”

“ti ho già detto di non chiamarmi signore”

A quel punto era uscito da dietro la schiena del buon vecchio Oliva Kalamata il fratello piccolo, il ricciolino, non avrà avuto più di dodici, tredici anni, ma una cosa era certa, aveva una faccia sicuramente più sveglia del fratello

“ e come dovremmo chiamarla, signore? Lei è un adulto e noi siamo dei ragazzini educati”

“ragazzi avete detto di sapere quanto costa un investigatore, beh, io non sono caro ma devo avvertirvi che la mia tariffa è quindici euro all’ora, come credete di trovarli?”

“ è proprio questo il punto “ aveva continuato il piccolino mentre Olivolì, evidentemente scocciato per l’interruzione batteva il piede a terra, sembrava dire questo qui non capisce niente, cercai di non guardarlo perché mi faceva venire uno strano prurito alle mani

“ forse lei non è a conoscenza del concorso legato all’album delle figurine Panini”

“no, non ne so niente” avevo ammesso, cosa cazzo vuoi che me ne fregasse del concorso delle figurine panini di cui non facevo la raccolta da più di vent’anni,

“venite al dunque”

“ vede, signore, all’interno di alcuni pacchetti erano stato inseriti degli scudetti d’epoca che davano diritto a premi in denaro”

“cristo santo”

“non bestemmi signore”, aveva detto Olivolì, non vi badai e proseguii a parlare con il piccolo

“ dove hai imparto a parlare così forbito?

“dalla divina commedia che mio nonno tiene sul water”

“ohggesù” vidi Kalamata inorridire e sbattere il piede per terra, sembrava un fumetto mal riuscito, anche il piccolino se ne era accorto

“ signore la prego di non bestemmiare, mio fratello è molto pio” aveva ribadito il ricciolo

“ scusatemi” avevo detto ” dunque vediamo, voi avete trovato questa benedetta figurina, quanto valeva?”

“diecimila euro, signore”

“o porco…”

Sti cazzi. Oliva si era fatto avanti tutto rosso

” e quando Angelino l’ ha vista ha subito detto che era l’occasione giusta per comprare lo scooter per la banda, la nostra banda, siamo gli Hells Angel di via Magolfa”

“ e quando lo avrebbe preso?”

“ è entrato in casa ieri notte e l’ha rubato dal nostro nascondiglio, quella merda”

“c’erano segni di scasso?”

“no signore ma angelino ha poteri speciali”

“senti, senti, solo questo Angelino era al corrente della figurina?”

“no, signore anche gli altri della banda, Tony, Pippo e Calogero…e Mary, la mia ex ragazza”

“ e io cosa dovrei fare?”

“ prendere quel bastardo di Angelino e fargli cagare la figurina”

“figliolo, non vuoi che bestemmi ma parli come uno scaricatore di porto, mettiamoci d’accordo su questo punto”.

Era calato uno strano silenzio, oliva Kalamata stava elaborando. A quel punto era intervenuto il piccolo

“Luigi, perché non vai a prendere le prove”

la faccia di Oliva si era illuminata “ cazzo c’hai ragione, vado subito, tu stai buono qui e non fare casini, non rompere le palle al signore” aveva detto ed era uscito di corsa diretto a casa con l’aria cospirativa di un Hercule Poirot de noantri ma con un Q.I. decisamente più basso.

Rimanemmo soli io e il piccolo Luigi

“quanti anni hai?”

“quasi tredici, signore”

“ e tuo fratello?”

“ quindici signore ma è ancora in terza media” aveva detto con una faccia strana

“devi dirmi qualcosa?”

“ si, signore”

“ sputa piccolo”

“ non sono piccolo, comunque, signore, la verità è che mio fratello non ha capito nulla di questa faccenda, lui e i suoi amici passano le loro giornate a sgommare ed impennare con i loro scooter.

Anche Angelino è un pluriripetente e, sinceramente, non lo vedo capace di entrare in casa nostra e rubare la figurina da dove l’avevamo nascosta”

“ dove l’avevate messa?”

“ dentro una selezione del Readers digest, signore, in salotto, un libro che credo nessuno avesse mai aperto prima e poi, il problema è che mio fratello odia Angelino perché gli ha fregato la ragazza ed è il capo della loro banda”

“Ah”

“le piace la Gerusalemme liberata?” mi aveva chiesto indicando un libro sullo scaffale

“cristo santissimo, non avrei letto pure quella?”

“si, signore, comunque, cioè, prima non ho potuto dirlo ma temo, sospetto che a rubare la figurina sia stato…beh uno della nostra famiglia”

“chi?”

“ nostro padre, signore”

“ o signore e perche?”

“si signore, vede, da quando c‘è l’euro gli affari non vanno più come una volta per nostro padre e poi c’è il problema del nonno”

“ quale problema?”

“lo vogliono mettere in un ospizio, il Pio albergo Trivulzio”

“ è malato?”

“ no, signore, ma i miei genitori pensano che sia pazzo e con quei soldi potrebbero pagare la retta di iscrizione, li ho anche sentiti parlare di questo”

“ e come mai? è pazzo?”

“ no, signore non è pazzo, solo che spesso a tavola mentre guardiamo il tg1 da in escandescenze, ogni volta che vede Berlusconi incomincia a citare versi di quella che lui chiama la sua “ comedìa” tipo quelli della lupa senza fame cupa, poi investe di insulti i miei che hanno votato Berlusconi, a volte sputa nel piatto in cui mangia ed esce dandogli dei poveri ignoranti, dicendo a mio padre che è un somaro e che non avrebbe neanche dovuto fargli fare l’avviamento al lavoro”

“capisco, quello che non capisco è io cosa dovrei fare?”

“ beh, signore, venire da mio padre e convincerlo a darci la nostra figurina”

“vuoi molto bene a tuo nonno vero?”

“perché me lo chiede?”

“ perché se è vera tutta questa storia lui sarà messo nell’ospizio”

“ una cosa è sicura, signore, di sicuro non è pazzo, signore”

In quel momento era rientrato Luigi rosso in viso, trionfante ”ecco le prove” aveva esultato

“ questo me lo ha passato l’altro ieri a scuola durante l’ora di matematica”

Mi aveva dato un foglietto a quadretti dove con scrittura incerta era scritto

ALORA PER LO SCUTER QUALE PREFERISCI OVETTO O BOOSTER?

“ha visto?, è lui l’infame, il Buscetta” mi incalzava Olivolì

“ e si” avevo detto strizzando l’occhio al piccolino “ bisogna intervenire”

“ e ma vieni” aveva fatto lui con gesto da goleador, agitando la mano intorno all’orecchio come fa Luca Toni “ ma prima dobbiamo chiedere l’autorizzazione ai tuoi genitori”

avevo visto il piccolino agitarsi sulla sua sedia

“ nostro padre non è in casa adesso, signore”

“ ci sarà tuo nonno no?”

“ ma signore..”

“ c’è o no?”

“ certo che c’è” aveva detto Oliva Kalamata, che nel mio subconscio cominciavo a chiamare Calamità, da ogni poro sprizzava feromoni della crescita e ottusa sete di vendetta.

“ dobbiamo agire subito, chiederemo a lui il permesso”, avevo detto e li avevo incitati a vestirsi per uscire. Mentre davo da mangiare alla gatta li avevo osservati meglio: entrambi indossavano cappotti enormi ereditati sicuramente da qualche cugino più grande e trasmessi l’uno all’altro.

Luigi spiritato saltellava per la stanza con energia pieno di speranze.

Francesco si vedeva che sotto tutti quei riccioli tagliati a caso da qualche zia sadica stava facendo funzionare tutte le sue gracili rotelline, ancora un po’ e gli usciva il fumo dalle orecchie aveva una faccia seria come solo i bambini e gli animali possono avere, senza ancora quell’ombra di ironia che le persone intelligenti acquistano dopo l’adolescenza.

Fuori faceva ancora freddo anche sebbene la primavera fosse cominciata da pochi giorni.

Un cielo troppo bianco carico di smog sovrastava la città di Milano e per un attimo percepii chiaramente il rumore di sottofondo, quella accozzaglia di motori voci e paranoie metropolitane che accompagna come un ronzio le nostre misere esistenze. Poi ci incamminammo lungo via Fusetti facendo lo slalom tra le merde di cane verso l’austera casa popolare di via Gola dove abitavano i due ragazzi; il passo di Oliva Kalamità era sicuro, mussoliniano, stava andando verso la vittoria e la vendetta, forse.

Quello del Ricciolino era invece insicuro, come se camminasse su delle uova, sopra la testa si poteva vedere addensarsi una nube nera.

“ di dove è tuo nonno?” gli avevo chiesto

“di un paese sul lago di Como, signore, ”

“ e tua madre?”

“Di Napoli, signore”

per un attimo era sembrato che mi volesse dire dell’altro ma aveva taciuto e aveva seguito il passo trionfale e tronfio di suo fratello.

Era una di quelle enormi case popolari larghe e imponenti che occupano un intero isolato con grandi corti interne dove alcuni appartamenti al pian terreno hanno ancora piccoli orti coltivati. Eravamo entrati da un portone monumentale su via Gola ed eravamo saliti al primo piano: la targhetta sulla porta diceva Gandola e Tufariello.

Oliva aveva aperto frenetico e si era precipitato in fondo ad un lungo corridoio gridando “nonno…, nonno”.

L’appartamento sembrava un vagone ferroviario: un lungo corridoio sul cui lato destro si aprivano una serie di stanze, in fondo una porta a due ante.

Nel corridoio ristagnava il classico odore di cibo che c’è in tutte le case popolari, un misto di verdure cotte e pastasciutta che coloro che vi abitano non sentono nemmeno e che può essere nauseabondo o inebriante a seconda dei giorni , delle ore e dei cuochi dell’appartamento

Kalamata era scomparso nella porta grande in fondo al corridoio mentre il Piccolino mi conduceva nella prima stanza che era un salotto con vano uso cucina e televisore enorme a dominare il grande tavolo di formica. Doveva essere la stanza comune della casa, quella dove i cinque abitanti consumavano i loro pasti guardando il tg1 o un posto al sole, la stanza dove il “ nonno” masticava fiele osservando sulla mensola la bottiglia di vino con l’immagine del duce che dice Boia chi molla.

Il Piccolo mi fece appendere il giaccone e mi condusse lungo il corridoio dove dietro una prima porta smerigliata si intuivano un bagno lungo anche quello come un vagone ferroviario, con maioliche grigiastre e piastrelle raffiguranti cigni o altri simili animali esotici oblunghi.

Nel buio del corridoio identificai altre tre porte che dovevano essere le stanze dei genitori e dei ragazzi e qualche altra specie di ripostiglio “ la stanza del nonno è quella in fondo al corridoio”

aveva detto ricciolino

“l’avevo immaginato “ dissi mentre osservavo orripilato un quadro che raffigurava due orrendi pesci posti su un piatto in precaria prospettiva mentre Oliva K. tornava tutto entusiasta dalla porta in fondo

” mio nonno la aspetta” aveva gridato tutto congestionato

“ forse è meglio che mi aspettiate qui” avevo detto, notai che il piccolo era già seduto in cucina a sfogliare un libro di storia .

Ero entrato nella stanza, era l’unica stanza con una metratura quadrata decente.

Tutte le pareti erano ricoperte di librerie a parte quella frontale alla porta dove dominava un ampia finestra chiusa, una penombra carica di fumo di MS avvolgeva una vecchia scrivania su cui una vecchia lampada evidenziava con il suo cono di luce una sagoma imponente.

“ quel bambino è troppo intelligente” aveva detto una voce roca e autorevole

“ eh si” avevo risposto all’ombra che i parlava da dietro la scrivania.

La luce mi impediva infatti di scorgere bene i lineamenti dell’uomo

“Mi chiamo Mario Gandola e lei deve essere l’investigatore privato che dovrebbe chiedermi un assurdo permesso…suppongo che non sia qui per questo”

“ in effetti no”

Ci furono dei lunghi attimi di silenzio

“ il piccolo lo ha capito?”

“ ancira no ma ci si sta avvicinando a rapidi e dolorosi passi”

Mi ero avvicinato attirato come una falena dalla fioca luce , dietro la scrivania c’era un signore con un volto profondo come il lago di Como nei pressi dell’isola comacina, ogni ruga sembrava un romanzo gli occhi erano scuri, i capelli bianchi radi pettinati all’indietro. Indossava una camicia a righe azzurre e bianche con bretelle marroni a reggere dei pantaloni che intuivo di fustagno.

Aveva aspirato una boccata pensierosa dalla sua emme esse e l’aveva spenta in un portacenere ricolmo di mozziconi.

“perché lo ha fatto signore?”

“non mi chiami signore, non lo sono”

Mi sembrava di averla già vissuta sta scena. Un deja vu’ del cazzo

“perché no? Lei è molto più grande di me e poi per me chiunque legge la divina commedia è un signore”

“ comedìa…”

Avevo dato uno sguardo alle librerie: accanto a libri di classici italiani c’erano libri in francese inglese e tedesco, testi di filosofia e matematica, una vera biblioteca in un posto dove già era dura che qualcuno leggesse il giornale.

“ suo nipote è un ragazzo molto intelligente”

“ darei un braccio per quel ragazzino, peccato che suo fratello abbia preso tutto da sua madre”

“ temo di non saperne abbastanza di questa madre, e del padre, e di Angelino “

“ lei ha ragione…purtroppo non avevo scelta. Quell’inetto di mio figlio e quella vipera di sua moglie vogliono questa camera per il loro letto matrimoniale nuovo: non lo fanno neanche per cattiveria, vogliono solo una stanza più grande”

“ e cosa centra con quello scudetto malefico?”

“ sarei anche stato disposto ad andarmene se non fosse che quella vipera di mia nuora non si accontenterebbe di mandarmi via, quella mi vuole vedere alla baggina. poi butterebbe nella carta straccia tutti questi libri che valgono ben più di quel fottuto letto matrimoniale e pure dello scudetto del Genova. quindi mi dovrò pagare gli avvocati per evitare che mi facciano interdire”

In quel momento era suonato il citofono, si era sentito del frastuono in corridoio poi era arrivato Oliva kalamata con un volto ebbro di felicità sadica

“ è Angelino, signore, andiamo?, possiamo nonno?”

Un silenzio pesante era calato sulla stanza, anche Franceschino si era affacciato sulla porta.

“per adesso no, Luigi” avevo detto io “ tuo nonno mi sta dicendo delle cose, senti facciamo così tu scendi e fai finta di nulla con Angelino, raccogli informazioni, abbiamo bisogno di prove e tu sei l’agente ideale per raccoglierle e, mi raccomando non dirgli niente, comportati come se niente fosse, tutta l’operazione dipende da te”

Olivella aveva assunto un atteggiamento cospirativo, simil James bond ma con decisamente meno charme e Q.I

“non se ne pentirà signore” aveva detto e aveva salutato militarmente

“ andiamo Fra?”

“ devo studiare” aveva risposto il piccolo con voce roca, si sentiva che stava per mettersi a piangere

“ ah” Olivetta Kalamità sembrava contento che tutta la responsabilità dell’operazione-spia ricadesse sulle sue spalle capaci

“ non vi deluderò” disse e uscì di corsa.

Il ricciolino era rimasto sulla porta, qualcosa era cambiato nei suoi occhi, c’era un ombra, quel sottile muro di disillusione che caratterizza, in alcuni, il passaggio all’età adulta.

Provai pietà per lui, troppo giovane, per noi tutti, troppo umani. Guardava il nonno dritto negli occhi,

“su queste pareti ci sono tutti i miei ricordi, tutta la mia vita” disse rivolgendosi a me come per giustificarsi, poi si accese una sigaretta e cominciò a raccontare.

E parlava più per il nipote che per me.

venerdì 11 giugno 2010


Volevo postare il terzo racconto della saga di Tony Miami che si chiama " il nonno di Tony Miami"
ma il lavoro di correzione mi sta venendo difficile. L'apatia da call center mi sta involvendo ancora una volta, fa un caldo bestia e la mia collega L. Lookketti sta starnazzando troppo ad alta voce con un cliente di national geografic. sono al posto di un'altra mia collega che ha internet e ho ritrovato un paio di disegni da me fatti pochi mesi ma sembrano secoli. dovrei farci uno studio sulla percezione del tempo nel callcenter.

Perché Industrie Cervello?
Perché no?
comunque questo sono io.


Il mese scorso il Centro Sociale Cox 18 in collaborazione con Agenzia X ( o viceversa) hanno pubblicato il libro "Milano noir e giald" una raccolta di racconti e arti visive ispirate a, indovinate un po': alla milano nera e gialla.
Tra i belli ed eterogenei racconti pubblicati ce ne sono anche due scritti da me che raccontano le improbabili avventure del detective privato, Tony Miami. si tratta de " la prima indagine di Tony Miami" e " Giulio Lugno, un avventura erotica di Tony Miami". Si tratta di sue racconti che avevo scritto parecchi anni fa, prima che il call center in cui lavoro mi ottundesse il cervello e frustrasse la creatività. L'esperienza positiva avuta durante la redazione del libro, il confronto con gli altri autori ed editori e, non ultima, la serata di presentazione dei propri lavori al pubblico che mi ha costretto a leggere in pubblico hanno avuto il benefico effetto di risvegliarmi da un torpore lungo cinque anni.
Così ho rimesso mano alla penna e, dato che nel frattempo il mondo di internet si è evoluto e sono nati i blog,i mi sono detto: proviamo.